Stefano Cattinelli

Le basi dell'accompagnamento empatico: il dolore

Quando parliamo della fine della vita dei nostri animali il tema del dolore è di prioritaria importanza.
E’ però altrettanto importante non confondere l’eliminazione del dolore con l’eliminazione del paziente. Sono due cose veramente molto diverse.

Io parto dal presupposto che gli animali non chiederebbero mai di essere ammazzati.
Dato che incarno il ruolo professionale di colui che sta a fianco degli animali cercando, meglio che posso, di leggere ed interpretare quello che gli animali comunicano, anche attraverso i sintomi, mi sembra più che naturale accostarmi con questa attitudine anche al momento della loro morte.
La richiesta di aiuto che molto spesso ho letto nei loro occhi in quei frangenti non può essere liquidata secondo una consuetudine ereditata passivamente.
Mai ho trovato un animale, e rimane una ferma convinzione personale, che mi ha chiesto una mano per morire.
Che mi ha chiesto aiuto, questo si, che mi ha chiesto di non soffrire, questo anche, ma che mi ha chiesto di ammazzarlo….onestamente mai.

Ecco perché il tema del dolore è una questione centrale del momento del fine vita. E siccome nessuno ne parla mai…qualcuno deve pur incominciare.

Prima di iniziare a ragionare sul dolore è importante fare una breve premessa.
Il momento della morte dell’animale coincide sempre con la fine di un ciclo esistenziale umano.
Quando l’animale se ne va, con lui se ne va anche un pezzo della nostra vita.
E’ impossibile scindere il binomio uomo-animale e concentrarsi solo sull’animale perché all’interno dell’evento è la persona che decide che strada intraprendere e riversa, nella successione degli eventi, le sue convinzioni, le sue paure e le sue difficoltà. Sempre.

Per chi volesse approfondire questo argomento consiglio la lettura del libro Che cosa mi vuoi dire (Macro edizioni) dove i meccanismi che stanno alla base della relazione tra uomo e animale sono ben spiegati e messi in evidenza.

Dopo questa breve premessa possiamo iniziare dicendo che non esiste un solo tipo di dolore ma che ne esistono ben tre.
Esiste il dolore fisico che l’animale prova nel suo corpo fisico.
Una colica intestinale, ad esempio, dove vediamo che l’animale si inarca, eventualmente si lamenta, non mangia e tendenzialmente si chiude in se stesso ci riporta ad un dolore fisico.
Una zampa sollevata è indice di qualche dolore fisico.
La sopportazione del dolore è individuale nel senso che ci sono animali che sono più sensibili al dolore altri meno.

La caratteristica del dolore fisico è quella di attirare l’attenzione su di se; più un animale è concentrato emozionalmente in qualcos’altro, come ad esempio un cane da caccia che rincorre la preda, e meno sentirà il dolore di una ferita provocata nell’inseguimento.

Il dolore fisico dell’animale ha dunque una certa variabilità.
Questa variabilità, di sentire più o meno dolore, dipende dunque anche dal suo “corpo emozionale”.
Un lupo ferito che deve andare a caccia per sfamarsi è obbligato a sentire meno dolore. Se, sulla fame, vince il dolore e il lupo non mangia l’animale muore.

Sopra, il corpo fisico, in senso gerarchico evolutivo, c’è dunque il corpo emozionale dell’animale.
L’emozione che sta dietro al cane da caccia che insegue la preda è la rabbia, che nel comportamento si manifesta in aggressività che è il movimento esteriore necessario affinché il cane raggiunga la preda e la catturi.
Il cane è un carnivoro è l’aggressività è necessaria per sfamarsi e per sopravvivere.

Quindi il movimento interiore dell’animale (emozione) può influire sul fatto che l’animale senta più o meno dolore. Il lupo che vuol sopravvivere deve manifestare un livello di rabbia/aggressività sufficiente a superare il dolore. Se non riesce o non può, perché il danno fisico e il dolore sono eccessivi, muore.

Le emozioni sono strettamente collegate alla fisicità.

Facciamo un altro esempio: un cane che viene abbandonato dopo molti anni di relazione con una persona.
Nel momento in cui l’animale sente che non c’è più il suo punto di riferimento esistenziale, la persona alla quale stava dedicando tutta la sua vita, percepisce dentro di sé come un strappo, questo strappo assomiglia ad una ferita e questa ferita gli provoca del dolore.

Il dolore e la ferita non sono fisici ma sono emozionali, appartengono cioè alla sfera dell’interiorità dell’animale.
Questo dolore emozionale, allo stesso modo della rabbia del cane da caccia ferito nell’inseguimento, ha un valore gerarchico superiore nel senso che è in grado di “scendere” o meno sul fisico e creare o modulare il dolore fisico.

Capiamo dunque che quando parliamo di dolore animale nel momento in cui l’animale sta morendo dobbiamo per forza prendere in considerazione che oltre alla sofferenza fisica esiste anche quella emozionale.
L’animale non è un essere fatto di pezzi separati ma è una unità, un organismo complesso con un corpo fisico e un corpo emozionale che si interfacciano in continuazione.

Poi, recuperando la premessa fatta a questo articolo, esiste il terzo tipo di dolore che è quello presente all’interno della relazione tra l’uomo e l’animale.
Quando l’animale se ne va noi, nella nostra interiorità, a livello emozionale, percepiamo come un strappo, questo strappo assomiglia ad una ferita e questa ferita ci provoca del dolore.
Ovviamente questo nostro dolore esiste dal momento in cui noi accogliamo un animale nella nostra vita e l’animale diventa una parte essenziale della nostra vita.

I nostri nonni non potevano vivere questo tipo di dolore perché appartenevano ad una generazione che aveva un altro tipo di rapporto con gli animali.
Al giorno d’oggi l’animale è dentro di noi e quindi quando se ne va noi avvertiamo uno strappo che ci provoca una ferita che ci fa sentire un dolore profondissimo.

Nella mia ventennale esperienza a fianco degli animali morenti questo tipo di dolore è gerarchicamente superiore a quello emozionale dell’animale e a quello fisico dell’animale.
La nostra difficoltà a stare in contatto con questo dolore e a vivere consapevolmente l’esperienza della fine della vita di un essere che ha dedicato l’intera sua vita a noi ha un influenza primaria su come e quando l’animale morirà.

L’animale, che per tutta la sua vita è stato dipendente da noi e dalle nostre scelte (alimentari, di spazio, di attività fisica, ecc) anche nel momento nel quale se ne va non potrà altro che dipendere da noi, da come noi affrontiamo questo mistero.

Noi abbiamo massimamente voce in capitolo sul divenire degli eventi.

Questo mio articolo nasce ovviamente da riflessioni che partono da esperienze dirette.
Prima viene l’esperienza e poi le riflessioni sul vissuto.

Nel mio primo libro Amici fino in fondo (AAM Terranuova) ho affrontato il tema del dolore emozionale dell’animale, nell’ultimo mio libro Tenersi per zampa fino alla fine (Amrita edizioni), ho affrontato il tema del dolore fisico dell’animale.

Il dolore emozionale umano appartiene alla sfera dell’esperienza.

Dott. Stefano Cattinelli
Medico Veterinario esperto in omeopatia

www.stefanocattinelli.it

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