Stefano Cattinelli

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Scritto il Maggio 21, 2025

La tecnologia al servizio della medicina veterinaria

 

Mi capita sempre più spesso di sentire persone che si trovano alquanto insoddisfatte dell’approccio medico veterinario attuale.

Se da una parte, negli ultimi decenni, siamo stati testimoni di un enorme miglioramento della strumentazione diagnostica a disposizione del medico veterinario tale progresso, tendenzialmente, non ha affatto coinciso con un effettivo miglioramento della qualità della visita.

Paradossalmente più facilmente si è stati capaci di penetrare i misteri dell’organismo animale e più si è perso di vista la complessità dell’organismo stesso.

D’altronde, è giusto dire che i mezzi diagnostici attualmente a disposizione del professionista concorrono in maniera attiva a determinare il modo in cui veterinario percepisce il paziente.

Se la visita, o meglio le visite, e cioè la quotidianità ambulatoriale, viene impostata andando costantemente a cercare sempre più nel dettaglio l’alterazione, la lesione o i danni presenti all’interno dell’organismo animale tale modalità di approccio al paziente non può che non incidere e condizionare pesantemente la percezione del professionista.

Ma cos’è la percezione?

La percezione è un processo che consente di attribuire un significato agli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente esterno.

Con gli occhi vedo un essere che si muove, il mio cervello ci appiccica sopra un concetto a me familiare permettendomi così di riconoscere che quell’essere è un cane.

La percezione rappresenta quindi un canale di collegamento diretto dalla nostra mente alla realtà circostante; l’atto del percepire mi fa prendere coscienza di una realtà che è considerata esterna a me e che penetra in me attraverso degli stimoli sensoriali (i cinque sensi) i quali vengono analizzati e interpretati mediante processi intuitivi, psichici e intellettivi.

Quel cane mi fa paura perché da piccolo sono stato morsicato.

Nel momento in cui collego lo stimolo visivo con il concetto e porto a coscienza che quello è un cane tale immagine esterna si lega ad un mio vissuto interno facendo modificare la mia percezione perché, in automatico, in quel cane vedo un pericolo e quindi mi allontano.

Se viceversa dopo avere percepito il cane nel mio vissuto è presente un’esperienza opposta nella quale riconosco che quell’essere è portatore di una qualità che mi arricchisce la tendenza sarà, in automatico, quella di avvicinarmi.

La percezione quindi non è mai separata dal mio vissuto e anzi la somma delle mie esperienze determina la modalità con la quale percepisco il mondo.

Infatti se sono stato morsicato da un cane tenderò a percepire tutti i cani come potenziali aggressori.

Tornando quindi alla percezione del medico veterinario che al giorno d’oggi è fortemente supportato dai macchinari diagnostici (ecografia, rx, Tac, risonanza magnetica, esami di laboratori, ecc.) risulta chiaro che più lui si affiderà ai mezzi diagnostici per interagire con il paziente e più la sua percezione si modificherà seguendo le indicazioni date dalla tecnologia.

Poiché la tecnologia, per sua natura, serve a vedere quello che sta accadendo in una piccolissima parte dell’organismo il veterinario sarà sempre più portato a stringere il suo campo visivo e quel dettaglio, reinserito successivamente nella realtà della visita, tenderà ad assumere il valore del tutto.

Il dettaglio viene poi successivamente collegato con un nome (molto spesso anche di difficile comprensione – ad esempio: granuloma eosinofilico o IBD che è l’acronimo inglese di Infiammatory Bowel Disease o allergia atopica -) e questo nome viene inserito in un protocollo che è uguale per tutti.

Il dettaglio viene quindi incasellato in una struttura di pensiero già costruita precedentemente.

Il mio cane, o il mio gatto, che è diverso da tutti gli altri, è completamente sparito.

Non c’è più, sparito nel nulla, è uscito dal campo visivo del professionista perché il veterinario che ha questo tipo di percezione vede solo quella specifica parte del mio animale non vede tutto l’animale ma solo un dettaglio, una parte molto piccola dell’intero sistema.

E io, io che porto l’animale in visita… io sono visto dal veterinario?

No, neppure io sono visto.

Oltre al dettaglio il veterinario non vede null’altro.

Il suo campo visivo si è necessariamente ristretto dall’uso costante dei mezzi diagnostici; la sua percezione, la modalità con la quale si relaziona al mondo esterno, non gli permette di accorgersi della complessità della realtà che gli viene incontro.

La tecnologia, se non gestita in maniera adeguata, crea una modificazione permanente nella percezione di chi la usa.

L’insoddisfazione di chi porta il proprio animale da quei professionisti che delegano ai mezzi tecnologici la propria percezione della realtà non solo è reale ma anche comprensibile.

Ancora una volta sta al punto di riferimento dell’animale, sta a me, scegliere come, quando e quanto interagire con il mondo della medicina veterinaria a partire da quello che la mia percezione mi porta a coscienza.

Ogni scelta è un bivio.

L’animale si affida a me.

Dott. Stefano Cattinelli

 

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